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FRIZZIFRIZZI.IT – L’arte di starsene a casa

FRIZZIFRIZZI.IT – L’arte di starsene a casa

In occasione di queste giornate di ritiro domestico forzato, noi di Frizzifrizzi abbiamo pensato di pubblicare una serie di piccole interviste a professionisti e artisti che stimiamo per dare ai nostri lettori un po’ di potenziali consigli per tirare fuori qualcosa di buono da questo periodo buio (e poi perché, semplicemente, siamo curiosi).

In ogni puntata daremo parola a diverse persone.
Le domande sono uguali per tutti.
Gli ospiti di questa undicesima puntata sono: Marino Neri, Lorenza Natarella, Riccardo Guasco, Elena Iodice e Paolo Cabrini.

Per il testo completo: https://www.frizzifrizzi.it/2020/03/25/larte-di-starsene-a-casa-11/

Dove vivi?

Io sono bolognese ma da 15 anni vivo in Veneto, vicino a Vittorio Veneto.

Che lavoro fai?

Sono architetto, laureata in restauro archeologico ma da 7 anni progetto esperienze legate all’Arte per bambini ed adulti. Ecco, forse è questo il modo in cui mi definirei, quello che capace di racchiudere ogni cosa che faccio: una progettista.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

Molti dei progetti che elaboro nascono a casa. Qui ho il mio piccolo studio, la mia riserva di materiale, i libri, la cantina con chiodi e bulloni. Potrei dire che non molto è cambiato e di fatto è così. Invece mi manca la parte più importante, la relazione con le persone che incontro. Senza di questa il mio lavoro è sterile.
Potrei fare tutorial, disseminare il web di video e idee ma senza quel rapporto che è prima di tutto umano resta un esercizio e non un’esperienza.

Con chi sei in casa?

Sono a casa con la mia famiglia, mio marito e i miei due figli di 7 e 11 anni.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Penso, penso molto e leggo.
Ogni tanto mi viene un’idea e allora tiro fuori carta, forbici, terre, colori e provo e per un po’ la casa ripiomba nel solito, allegro, disordinato fermento. Poi accantono tutto per “quando sarà”.
L’anno scorso sono stata costretta a casa a lungo per una polmonite virale (sic!). I primi giorni mi pareva di impazzire, avevo l’impressione che il mondo, fuori, girasse senza di me. Poi, quell’inattività, quell’essere costretta a restare ferma e per la maggior parte del tempo in silenzio, ha cominciato a lasciare tracce preziose. Mi ha insegnato ad aspettare: è questo che anche oggi sto facendo, aspetto.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Un paio di progetti necessitavano di essere pensati in modo più profondo: li ho ripresi in mano e sono ripartita da 0, approfittano delle mani mai ferme di Bianca, mia figlia.
Altri, accantonati per la solita mancanza di tempo, escono dai cassetti e sono soggetti a prove multiple, ancora più difficili perché ora non tutto quello che servirebbe si può recuperare. Si deve fare con quel che si ha e spesso, questa mancanza di mezzi, come poi insegna l’Arte, aiuta ad arrivare all’essenziale.

Qual è il posto che ti manca di più?

Mi mancano i bambini, quelli delle scuole e quelli che incontro fuori, nel mondo. Li ho sognati spesso in questo periodo. Un paio di notti fa erano con me, in una specie di piccolo teatro. Chiedevo loro di raccontarmi la paura che avevano provato durante questo lungo, silenzioso periodo. Sentivo, nel sogno, che quella sensazione condivisa e raccontata era il modo più potente per poterne uscire.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Ho ripreso in mano, un po’ per caso il libro Louise Bourgeois Distruzione del padre / Ricostruzione del padre: Scritti e interviste, edizioni Quodlibet. È un libro potente così come l’opera di questa artista straordinaria per la quale l’Arte è stata, prima di tutto, una benedizione capace di ricucire ferite. Non sanarle, attenzione, il segno resta ma le lacerazioni sono riportate ad una nuova unità.
E poi ogni intervista filmata di Maria Lai. Ieri, nel riascoltarmi un pezzo tratto da Sospesa tra cielo e terra – tra dialogo e racconto mi sono trascritta questo brano che allude alla performance Legarsi alla montagna (altro suggerimento prezioso, per chi non la conoscesse) e che sembra perfetto per noi oggi: «Ulassai è una metafora straordinaria perché è minacciata da frane, come il mondo. Allora si parlava della bomba atomica, era minacciato da frane universali. E poi, questo nastro che arriva, ma che vuol dire un nastro? Non vuol dire niente, non sostiene però lì, nella storia, nella leggenda, ci dice che quel nastro ci ha dato una direzione di salvezza. A tutto il paese faccio questo appello: “Dia un’immagine del mondo nuova e dell’Arte perché l’Arte è come quel nastro bella da vedersi ma è soprattutto direzione di salvezza”».